Secondo l’ultima indagine dell’Osservatorio Scienza e Società [1], un italiano su tre ricorre, almeno saltuariamente, a prodotti omeopatici per curare i propri problemi di salute, e poco meno di uno su dieci lo fa con una certa assiduità. Di questi, il 75% fa uso di questi prodotti, spinto dalla percezione che abbiano minori effetti collaterali rispetto alla farmacopea cosiddetta “convenzionale”. Un utilizzatore su cinque, tuttavia, è convinto che siano più efficaci.
Ma il dato più sorprendente che emerge da questa indagine è forse il ritratto-tipo di chi fa ricordo all’omeopatia: piuttosto istruito, residente al Nord, prevalentemente femmina. Tra le donne di istruzione superiore residenti al Nord, due su tre fanno uso di prodotti omeopatici. Il ricorso all’omeopatia non sembra neppure legato ad una qualche forma di ostilità nei confronti della medicina convenzionale, dal momento che soltanto due italiani su cento si curano esclusivamente con l’omeopatia.
Fatto salvo che la popolarità non è un misuratore accurato dell’affidabilità, né degli uomini politici, né delle terapie, una prima domanda è lecita: a cosa è dovuto un tale successo? Le parole dei sostenitori dell’omeopatia lasciano pochi dubbi in merito: il sistema di cura omeopatico avrebbe costi ridotti e si servirebbe solo di farmaci non tossici; sarebbe inoltre in grado di curare disturbi sia acuti sia cronici, anche se il suo massimo contributo starebbe nella risoluzione di casi cronici difficili da trattare con i metodi convenzionali. Insomma, efficacia, innocuità, bassi costi: forse solo l’acqua santa potrebbe far di meglio.
Caratteristica dell’omeopatia è infatti quella di avere una soluzione per tutto, o quasi. Una soluzione che tra l’altro “non fa male”; per questo molti bussano alla sua porta. Tuttavia, alla luce della sperimentazione clinica e del metodo scientifico, le cose stanno diversamente; in sintesi:
Per scoprire quali siano questi principi, facciamo un passo indietro.
L’omeopatia deve la sua nascita al medico tedesco Samuel Hahnemann (1755-1843). Egli, traducendo un'opera del medico e chimico scozzese William Cullen, è colpito da ciò che legge sulle proprietà della corteccia di china, importata dal Perù il secolo precedente e presentata - giustamente - come arma eccellente contro le febbri malariche. Hahnemann nota che la china provoca nella persona sana un attacco di febbre come quello che combatte nella persona malata. Da questo fatto nasce la sua grande intuizione: con un assunto tutto da dimostrare, egli afferma che la corteccia di china “usata contro la febbre intermittente agisce perché può produrre nella persona sana sintomi simili a quelli della febbre intermittente”. Questo perché è significativo; tale intuizione viene elevata a rigoroso principio-base: facendosi beffe del principio sostenuto da Galeno “contraria contrariis curantur” (i contrari si curano con i contrari), Hahnemann sostiene che la via della guarigione sta nel soddisfare il principio “similia similibus curantur”, i simili si curano con i simili. Questa è la legge fondamentale dell’omeopatia, inossidabile nel tempo; per risanare in maniera dolce, pronta, sicura e durevole, conviene scegliere in qualunque infermità un rimedio capace di sviluppare una malattia somigliante (da qui il nome omeopatia: hòmoios pàthos, in contrasto con allopatia).
Dal 1790 al 1839 l’armamentario collaudato è di 101 rimedi. In seguito, questo repertorio è però aumentato considerevolmente: oggi questo numero è salito a circa 1500. Spesso le sostanze base sono quelle usate dagli allopatici, in genere vengono dai tre regni della natura e nel 65% dei casi da quello vegetale. Nel 30% circa il materiale di partenza è di natura chimica. Sostanze di origine biologica servono a confezionare i bioterapici, alcuni dei quali come il Morbillinum, a base di materiale prelevato dalla bocca di malati con morbillo, fanno sorgere l’interrogativo se l’allestimento dei preparati omeopatici non possa funzionare per riciclare rifiuti biologici. Alcuni dei rimedi prescritti sono a base di scarafaggi indiani, cantaride, cimici del letto, battuto di formiche vive, lumache tostate senza guscio, fluidi digestivi delle aragoste, ragni, pulci e tarantole. I rimedi hanno solenni denominazioni latine, ma il contenuto è quello: Mustela foetida: ghiandola anale della puzzola; Periplaneta americana: scarafaggio d’America; Pulex felis: pulce di gatto; Pediculus capitis: pidocchio del cuoio capelluto; Lumbricus terrestris: verme di terra.
Al principio dei simili, il medico sassone ne fece seguire un secondo. Poiché l’azione dei farmaci aumentava con il diminuire della dose, i medicamenti dovevano essere diluiti fino a concentrazioni bassissime (principio delle diluizioni infinitesimali) e somministrate ai pazienti in quantità piccolissime. Nella preparazione dei rimedi la soluzione doveva venire agitata manualmente secondo certe regole specifiche perché queste scosse avrebbero “dinamizzato” il rimedio risvegliando ad attività le forze dormienti e aumentando enormemente le capacità terapeutiche. Nel preparare un rimedio omeopatico si parte dalla tintura madre di una sostanza che viene sottoposta a delle diluizioni. In una procedura molto comune, al primo passaggio una parte della tintura è aggiunta a 99 parti di alcool al 90% così da ottenere la prima diluizione centesimale, indicata 1CH. Al secondo passaggio, tutto come prima: una parte della soluzione 1CH è diluita in 99 parti di alcool e il risultato è la soluzione 2CH. La stessa procedura vale per i passaggi successivi. Per intenderci, la soluzione 6CH contiene una molecola di sostanza originale per miliardo di molecole di alcol. Il limite a questa procedura c’è, ed è sancito dal numero di Avogadro (6,023 * 1023 molecole per mole); esso corrisponde a potenze omeopatiche di 12CH, soluzioni così diluite che al loro interno una molecola di tintura madre proverebbe un doloroso senso di estraneità. Se ora si continua, non si fa che diluire alcool in altro alcool.
Poiché riesce difficile comprendere quanto velocemente aumentino le potenze di dieci, ci si può anche sbizzarrire in calcoli leggermente diversi. Per esempio, una 30CH (diluizione ancor oggi usatissima) equivale a diluire il grammo di sostanza iniziale in un volume di liquido pari a 714 milioni di miliardi di volte il volume del sole. La cosa straordinaria è che le soluzioni più diluite hanno più potenza di quelle meno diluite; questo avverrebbe perché ad ogni passaggio la soluzione viene agitata, o come dicono gli omeopati, dinamizzata.
A meno di non invocare la magia nera, la pretesa azione dell’omeopatia è priva di qualunque riscontro scientifico. Essa va contro tutte le basi molecolari della moderna farmacologia: senza una molecola e un recettore nell'organismo, non si da azione farmacologica. Se l'omeopatia dovesse funzionare, sarebbe grazie a qualche altro principio ancora sconosciuto alla scienza.
E’ interessante osservare che il motivo per cui l’omeopatia prese piede da subito è da ricercarsi nello stato in cui riversava all’epoca la medicina cosiddetta “ufficiale”. Il Settecento fu un secolo di luci ed ombre per i seguaci di Ippocrate, in cui entrarono in scena medicamenti che segneranno la storia, come la corteccia di china o la digitale, ma nel quale prevalevano il ricorso a terapie d’urto come salassi, purghe violente, vescicanti, bagni in acqua gelata o bollente. Preparati a base di mercurio erano usati per “purificare” l’intestino, ma a dosi da cavallo, responsabili di vere e proprie intossicazioni con caduta di denti e capelli. In breve: uno scenario raccapricciante. E in tale scenario, era tutt’altro che infrequente che somministrare un rimedio omeopatico (dall’effetto nullo) giovasse enormemente di più rispetto alla sequenza di terapie a base di disidratazioni, trapanazioni e unguenti pieni di sostanze dannose e microbi d’ogni genere, tanto in voga all’epoca. Dice il Faust di Goethe, tormentato per ciò che ha fatto come medico contro la peste: “Con i nostri succhi infernali abbiamo imperversato in queste valli e per questi monti, più noi che la peste. Io stesso ho dato il veleno a migliaia: sono morti e debbo toccare con mano il fatto che assassini temerari vengono lodati”.
A tutt’oggi, qual è il punto della situazione? Un articolo comparso nel novembre 2007 su Lancet, una delle più autorevoli riviste mediche al mondo, non lascia spazio a dubbi: l’omeopatia, oltre ad avere un effetto sul paziente indistinguibile dal placebo, espone il pubblico a pericoli, ritarda le diagnosi accurate, o addirittura interrompe cure mediche efficaci per malattie gravi. I sostenitori dell’omeopatia diffondono un’immagine falsamente scientifica al pubblico generico, citando solo i risultati positivi. Per avere un’idea di quanto le riviste omeopatiche siano parziali e selettive nei lavori che pubblicano, basti sapere che solo il 5% di essi ha esiti negativi.
Appare chiaro che l’omeopatia dovrebbe ormai essere dimenticata dai medici come tante altre vecchie terapie. Viene in mente ciò che dice un personaggio del romanzo Il gallo cedrone: “Caro signore, ero venuto qui col sospetto che mi si prendesse per il naso. E ora ho la certezza che si tenti di prendermi per il culo”.
Per saperne di più
Guarire dall’omeopatia, di Stefano Cagliano. Marsilio, 1997
www.cicap.org/omeopatia Punto di riferimento sull’omeopatia del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo della Affermazioni sul Paranormale)
http://governo.it/bioetica/testi/Medicine%20Alternative.pdf Le medicine alternative e il problema del consenso informato, Comitato Nazionale per la Bioetica, 2005
6 commenti:
Robert L. Park, ex direttore di Scientific American, mi pare abbia condotto un esperimento interessante sulla diluzione del principio attivo nei farmaci omeopatici...non ho a disposizione il link all'articolo originale, ma su questa pagina web (http://www.quackwatch.com/01QuackeryRelatedTopics/homeo.html)
al paragrafo "At Best, the "Remedies" Are Placebos" si possono trovare delle indicazioni quantitative che rendono l'idea di quanto fisicamente siano diciamo "improbabili" certi parametri che caratterizzano la diluzione nei farmaci omeopatici...
l'immagine del mortaio è fuorviante.
mi sembra che il resto sia pero' tutto ben circostanziato...
non so cosa dire... e' come l'oroscopo, la religione e maria de filippi... si sa che sono puttanate ma non si riesce a farne a meno (o meglio il popolo non riesce a farne a meno...)
d
La cosa mi scandalizzerebbe se a curarsi con l'omeopatia fosse gente ignorante, che non è messa nelle condizioni di conoscere i benefici della medicina VERA, non per colpa sua ma di chi non fa informazione.
Ma se si tratta di gente istruita e generalmente benestante, allora, sinceramente, SONO CAZZI LORO!
Se vogliono curarsi la cirrosi mangiando il buco del culo essiccato di una puzzola sono liberi di farlo.
Se preferiscono la diarrea ad una pastiglia di Imodium, allora che tengano le chiappe strette e stiano zitti! E poi non vadano dal dottore a lamentarsi perchè continuano a cagarsi addosso!
Scusate i latinismi.
Michele, hai ragione almeno in parte. Lo scandalo vero però sta nel fatto che lo Stato dovrebbe prendere seri provvedimenti per denunciare gli omeopati di millantato credito o quantomeno vietare l'omeopatia quando si corre un pericolo. *Questo* si chiama tutelare i malati.
Invece, grazie all'autonomia di spesa delle Regioni, esistono vari centri e ambulatori che forniscono anche terapie "alternative", di efficacia dubbia o indimostrata (su tutte la regione Toscana).
sinceri ringraziamenti per aver cambiato il mortaio.
Posta un commento