mercoledì, giugno 04, 2008

Non e' un paese per vecchi, analisi e interpretazione. di A.T.

Nichilista, cinico, ironico, spietato, profondo, sono alcuni degli aggettivi che mi vengono in mente ripensando a "Non è un paese per vecchi", purtroppo però nessuno di essi è in grado di dominare il film, di coglierne l'essenza, di definire i contorni della ferita che mi ha lasciato e che continua a sanguinare anche dopo i titoli di coda.
In effetti, se c'è una cosa che credo di aver capito sull'arte, è che ogni definizione non fa altro che sminuire e violentare l'opera. Il linguaggio dell'arte, per così dire, è più potente rispetto al linguaggio del "sic et non" con cui cerchiamo disperatamente di sviscerarne il significato.
...



Se il film fosse un quadro, si potrebbe dire che non è presente nessuno schizzo a matita sotto il colore e che l'immagine prende forma da un perfetto gioco di sfumature. Addirittura, alcuni particolari della narrazione devono essere ricostruiti dallo spettatore in base ad indizi sparsi qua e là nella pellicola. Le varie scene hanno un tale valore artistico e simbolico che, prese singolarmente, possono essere viste come tanti racconti che magicamente s'incastrano nell'architettura complessiva, la quale risulta in effetti appena accennata. In particolare ce n'è una che credo avrà un posto di riguardo nell'enciclopedia del cinema. E' quella in cui Chigurh parla col vecchio nella stazione di servizio. Essa è importante soprattutto per la caratterizzazione del cattivo. L'apparente assurdità del dialogo che egli tiene con il cassiere è in netto contrasto con l'assoluta quotidianità del luogo e della situazione. C'è un forte contrasto anche nel tono delle parole di Chigurh, a volte quasi ironico e scherzoso e subito dopo greve e solenne. Fondamentale è la risposta che da al vecchio che gli chiede cosa si sta giocando a testa e croce: "Tutto" e "te lo stai giocando da quando sei nato, solo che non lo sapevi". Il tutto di cui parla, la nostra sopravvivenza, gli affetti, le aspirazioni, il potere, insomma l'intera esistenza sembra essere continuamente soggetta al caso che come uno spietato assassino può turbare la nostra intimità in un qualsiasi momento della vita. E sentimenti quali l'amore o la pietà non occupano in alcun modo un posto privilegiato:Moss, quello che può essere definito il buono, muore molto prima della fine del film, quindi i Cohen non solo si guardano bene dal pericolo di incorre in un lieto fine, ma addirittura il protagonista sembra essere il cattivo.

Nella caratterizzazione dei personaggi si vede una sorta di continuità con un certo filone della cinematografia precedente: essi costituiscono il centro del film ed hanno una vera e propria natura epica. Mentre, però, nei film di Sergio Leone, ad esempio, i personaggi rappresentano valori appartenenti alla dimensione umana quali la lealtà, l'amicizia, l'ambizione o il tradimento, qui Chicurh sembra quasi soprannaturale: basti pensare alla sua fredda determinazione e alla sua disumana insensibilità al dolore. D'altronde, lo sceriffo parlandone con un suo collega lo definisce come un fantasma: "Non sono sicuro che sia pazzo, a volte penso che sia praticamente un fantasma". Egli è la personificazione di ciò che nel mondo greco veniva chiamato il cieco Destino, figlio del Caos e della Notte, o per lo meno è un suo spietato esecutore. Nel film fa un'affermazione molto significativa: "Io e la moneta siamo arrivati allo stesso punto". Se è vero, però, che nemmeno gli dei possono sottrarsi al Fato, lo stesso Chigurh ne risulta vittima. Infatti, dopo averci quasi dato l'idea di essere immortale, verso la fine del film rischia la vita in un banalissimo incidente stradale ad un incrocio. Sebbene a volte riesca a farci raggelare il sangue nelle vene, l'aggettivo che più gli rende giustizia credo non sia terrificante ma grottesco, anzi in alcune scene ci fa addirittura sorridere. In fin dei conti, non si è mai visto un cattivo con un taglio di capelli così ridicolo e che se ne va in giro ad ammazzare la gente con un'ingombrante bombola di ossigeno ed una pistola ad aria compressa,che di solito viene usata per ammazzare i vitelli!(Questo ci dovrebbe far riflettere su quanto insignificanti ed indifesi siamo rispetto al destino). Credo che uno dei meriti più grandi del film stia proprio nell'efficacia con cui i Cohen riescono a descrivere la natura essenzialmente tragicomica dell'esistenza.Uno degli artisti che meglio e' riuscito a rendere quest'aspetto e' sicuramente Shakespeare.Re Macbeth nel dramma che porta il suo nome afferma:
"La vita non è che un'ombra che cammina, un povero commediante che si pavoneggia e si agita, sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla".
Quale attore non susciterebbe l'ilarità degli spettatori e fischi seguiti da sghignazzi di ogni genere,se si presentasse sulla scena, magari un po' ubriaco, e cominciasse a pronunciare frasi sconnesse e senza senso che non hanno nulla a che fare con la sceneggiatura del regista? Eppure, se provassimo solo per un momento a paragonare tutta la nostra vita al discorso di quell'attore, struggente e pieno di passione, ma in fin dei conti completamente senza senso, il solo pensiero non ci farebbe rabbrividire? La stessa situazione che prima ci sembrava comica assumerebbe certamente i contorni di un'insostenibile tragedia. Per usare le parole di un grande artista che ha fatto la storia del cinema, "la vita è una tragedia in primo piano, ma una commedia in campo lungo"(Charlie Chaplin).
E' proprio questo il tratto più caratteristico dello stile dei Cohen e che particolarmente si manifesta in questo film. E' come un pianto che viene strozzato da una risata improvvisa, la loro ironia è quasi dolorosa, assomiglia al sapore acre che lascia in bocca il limone dopo aver bevuto una tequila. Strisci il limone sul dorso della mano, lecchi il sale, butti giù la tequila e, prima che il petto ti si apra in due dal dolore, metti tra i denti la scorza di limone; è in questo momento che senti un brivido correrti lungo la schiena, il segreto del loro stile sta tutto lì, in quel brivido.

Un altro personaggio molto interessante è quello dello sceriffo. Egli apre il film in qualità di voce narrante ed il suo intervento termina con le parole: "Nella criminalità di oggi è difficile capirci qualcosa, non è che mi faccia paura…,ma non ho intenzione di mettere la mia posta sul tavolo, di uscire per andare incontro a qualcosa che non capisco. Significherebbe mettere a rischio la propria anima, dire OK faccio parte di questo mondo". In queste parole,come in tutto il film, c'è un'eco esistenzialista, un grido che risulta ancora più disperato perché rimbomba nell'arido silenzio del deserto texano e nella solitudine kafkiana di strade cittadine buie e desolate. Il suo discorso è una vera e propria presa di distanza dalla realtà e dal non senso che la permea. Non è un uomo d'azione , né tanto meno ama le armi, gli piace soprattutto osservare ed analizzare l'esistenza più che viverla. Il suo personaggio ha quasi una natura filosofica ed è proprio la riflessione forse l'arma che usa per prendersi una rivincita sulla vita e tentare di restarne fuori il più possibile, se è vero che "philosophari est non vivere". L'insostenibile dicotomia tra l'aridità della realtà che lo circonda e la sua complessa interiorità genera in lui un profondo sentimento di disperazione e solitudine. Di questo sentimento risulta pienamente partecipe lo spettatore, basti pensare alla lacerante espressività pittorica delle scene iniziali del film. Mi riferisco in particolare a quella in cui si vede un pit bull ferito allontanarsi lentamente verso l'orizzonte, quasi come fosse una piccola macchia nera che pian piano sembra essere assorbita dal giallo arido e senza vita del deserto. Non si può non far caso alla stretta analogia che c'è tra questa scena e quella in cui Chigurh, dopo l'incidente in macchina, si allontana ferito lungo un viale alberato, sparendo improvvisamente dietro al velo di un monotono pomeriggio di una cittadina di provincia.


Il film termina con lo sceriffo che racconta alla moglie due suoi sogni.
Il secondo, in particolare, sembra avere una profonda valenza metaforica:

era notte e lui stava attraversando a cavallo un passo in mezzo alle montagne; ad un tratto, si vede superare dal padre, il quale portava con se una specie di fiaccola ricavata da un corno e la fiamma che c'era dentro aveva il colore della luna. Inoltre, egli dice:
"nel sogno sapevo che stava andando avanti per accendere un fuoco da qualche parte, in mezzo a tutto quel buio e a quel freddo e che quando ci sarei arrivato, l'avrei trovato lì".

In queste parole si può cogliere addirittura la sfumatura religiosa di una dimensione ultraterrena oppure il tentativo di individuare una via di uscita proprio nei valori di quegli "old men" di cui parla il titolo. Personalmente, però, penso che l'enigmatico finale onirico abbia più la funzione di lasciare aperto uno spiraglio di flebile speranza. In fondo a questa fredda e buia notte nel deserto del texas che il regista ci racconta, come piccole gocce di rugiada sui fili di ginestra, restano il ragazzo che si ferma a soccorrere Chigurh, il folle gesto di generosità di Moss che rischia la vita per portare un po' d'acqua al moribondo, la sua ragazza che non accetta che il suo destino possa essere deciso da una moneta e soprattutto il personaggio dello sceriffo, in qualità di coscienza critica.

Il finale mi ricorda le ultime strofe di una celebre canzone di Guccini: "signora Bovary, coraggio, pure tra gli assassini e gli avventurieri, in fondo a quest'oggi c'è ancora la notte, in fondo alla notte c'è ancora, c'è ancora…"



15 commenti:

ATREIU ha detto...

Complimenti per l'interpretazione del film :-)

Anonimo ha detto...

Sono d accordo con tutto quello che hai detto e ti faccio i complimenti ancheper come l hai detto... Molto acuto. Bravo

GiuliaB ha detto...

Ho appena visto il film e tutto ciò che hai detto lo condivido pienamente; una lettura puntuale e pertinente. Quanto al film, beh, grandioso.

Anonimo ha detto...

grazie

Unknown ha detto...

Complimenti

Anonimo ha detto...

Commento interessante e approfondito; anche se ci sta qualcosa di più sul philosophari perchè lo sceriffo è l'unico che tenta di dare un senso e uscire dalla sorte inesorabile ;a mio modesto parere
Luca

Anonimo ha detto...

Scritto benissimo! complimenti!

Anonimo ha detto...

Scritto benissimo! complimenti!

Anonimo ha detto...

Ottima interpretazione, complimenti. Mi ha riportato alla mente dei particolari che mi erano praticamente sfuggiti. Grazie.
Il film è eccezionale.

Lollo ha detto...

Grazie. Hai riempito questo vuoto lasciatomi dalla fine del film.

Lollo ha detto...

Grazie. Hai riempito questo vuoto lasciatomi dalla fine del film.

collaborazioni ha detto...

disamina puntuale e sapiente. bella visione. Cmplmnts

rachele ha detto...

io sinceramente ho pensato che il sogno dell'ormai pensionato sceriffo non fosse uno spiraglio aperto ad una interpretazione positiva, o di speranza, poiché lui si "sveglia" e era solo un sogno e (come lui stesso dice) un sogno sembra importante sempre a chi lo fa, ma forse non lo è... insomma, mi pareva la sottile presa di coscienza (dopo il pensionamento anche questo significativo in tal senso) di aver inseguito il sentimento religioso di principio finalistico, che è forse troppo improbabile per un vecchio a cui la vecchia "non ha portato Dio"...

Anonimo ha detto...

Bisogna dire una cosa. Tutti i dialoghi, virgole comprese, sono di Cormac Mac Carthy, e così anche la storia e le ambientazioni. Quinti tutti ci cimplimenti e osservazioni ceh fai devono essere, almeno al 90%, indirizzati non ai registi bensì ao romanziere. Non c'è stata nessuna divergenza dei fratelli Cohen dal romanzo, che è, semplicemnte, uno dei tanti capolavori di unod ei più grandi scrittori di tutti i tempi

Anonimo ha detto...

é proprio lo scerifffo che crea il punto di domannda su ciò che accade e sul senso filosofico del compiere un'azione. più che un protagonista è un narratore e un punto di visione. Questo è l'autore del libro. O meglio ciè che rispettosamente i Cohen riescono, come raramente dal libro al cinema, portano come punto di riferimento concreto fra lettura di una grande libro ed espressione della propria identità nell'apprezzarlo. Un grande libro oppure un mediocre...come volete...ha una grande prima difficoltà nel legarli...capire come noi si possa servire nella trasposizione creativa da un linguaggio all'altro...evitando presunzioni egoistiche. Ecco perché il film, a mododo suo, mantiene dignità e bellezza.