giovedì, novembre 24, 2011

Di classe ... seconda, ma di classe

Prologo.
Dopo una settimana di vita cerniota mi sentivo un po' stanchino. Il giorno della partenza per casa la sveglia ha impietosamente fatto il suo dovere alle 5.30 del mattino. Con F. passiamo a prendere D. che poi andrà al suo turno di lavoro.
Nota: il viaggio di ritorno è tutto in seconda classe... noterete la differenza.


Arrivo in stazione piuttosto in anticipo e a Ginevra fa freddo, saranno meno di 5 gradi. Io non sono particolarmente vestito e sonno+freddo=fastidio. Opto per godere delle poche (?) cose positive che mi sta offrendo il risveglio, mi lancio verso la più vicina pasticceria e do fondo ai miei ultimi franco-spiccioli per una pasta alle mandorle. Anzi, burro con mandorle. Nell'angolo più riparato dai vari spifferi della stazione -dove vado a fare provviste per il grande freddo- siamo in tre, una homeless, un transone meticcio e io. Ottimo. Rifletto su come tre persone esteriormente molto diverse siano finite nello stesso punto per lo stesso motivo, facendo lo stesso percorso logico ... intelligenze affini ... rifletto sul mio futuro ... intelligenza affine, futuro affine?
Mmmm... finita la pasta mi sposto, possibile che non ci sia un posto più caldo???

Forse sul binario troverò riparo in uno di quei box vetrati tipici dei paesi civili dove fa anche freddo. Effettivamente il box c'è, la porta è rotta e il riscaldamento non c'è. Però almeno sono riparato dal vento. Aspetto venti minuti, riuscendo a ritagliarmi un cantuccio chiappe-riscaldato. Ancora non si può dormire, troppo freddo, troppo scomodo, troppo "andirivieni".

Arriva il treno, che culo la mia carrozza è proprio quella che si ferma davanti al mio naso. Salgo trovo il posto infilo i bagagli mi siedo aaaaaaaah da qui non mi sposterà nessuno fino a Mestre! Saluti a tutti cia'cia' ronffffff  "Federico Federicooooo ... fede essegui papà" ... ... cazzo ... ... passati!
Roooo ... "Fede mi sa che siamo qui..." (ooonfff) "...(sorrido, non parlo, mi tengo il jolly, finché non sanno che sono italiano sono salvo, li vedo titubanti quindi -SPERO- forse hanno sbagliato posto)..."
Padre e figlio, il padre sulla quarantina pizzetto un po' spelato, bambino piccolo biondino capelli lunghetti riccolino.

Non siamo ancora partiti, vario trambusto di gente che non riesce a capire la relazione d'ordine dei numeri interi. Pensavo che noi italiani fossimo mediamente meno svegli degli amici d'oltralpe, invece anche loro producono e mantengono dei cervelli di gran classe.

Il padre tiene tranquillo il figlio spiegandogli (in italiano con forte accento del sud, ma decisamente impeccabile) che oggi c'è tanta gente, che l'ultimo posto prenotabile l'aveva preso lui ieri, e che forse dopo avrebbero dovuto spostaresi o boh...
Seduti gli ultimi francesi e svizzeri si parte.

Federico è un bel bambino, furbo, ma non agitato (di quelli invasivi che rompono le balle). Lo hanno svegliato, ormai è acceso, non è colpa sua, lui avrebbe anche dormito, ma ormai è sveglio. E chi lo spegne più? Vorrebbe giocare. Papà previdente si dirige verso lo zainetto e concordato col figlio il gioco meno fastidioso per i restanti passeggeri (bambino ragionevole devo dire) estrae quattro pallette di plastica, che si rivelano presto essere una nuova generazione di "transformers".
Le palle -si sa- rotolano e ben presto una finisce dalle mie parti, la raccolgo.
P: "Grazie... ringrazia il signore... merci..."
I:"Ah, non si preoccupi"
P:"Sei italiano?"
I:"...eh... sì"
F:"Vuoi giocare anche tu? Ne vuoi uno?" (di questi transformers ndr)

Insomma fregato.

Volevi dormire? Sì!
Ecco, no. Niente.

Per farla breve, inizio a parlare col padre e a pseudo-giocare col figlio. Il padre è un ricercatore, ingegnere elettronico, siciliano che vive in Sicilia. Per molti anni ha lavorato in Francia e Svizzera, dove si è/era fatto una famiglia. Aveva sposato una donna di origine russa, avvocato. Fatto sta che lei è scappata con un "amico" quando Federico aveva un anno... l'uomo ne parla con un po' di rancore, si vede, ma cerca di rimanere neutrale col figlio. C'è stata una scena che mi ha imbarazzato moltissimo e mi ha rattristato parecchio: Federico ha fame, mangerebbe volentieri qualcosa, ma sono piuttosto vicini alla loro stazione di arrivo. Il papà cerca di fargli capire che tra poco scenderanno e lui gli preparerà un buon panino... Federico conferma "buono!" (mitico, il "ragazzo" è sano!) però ha fame adesso non tra 10 minuti. Son cazzi avere figli...
Il papà è i piedi perché nel frattempo sono arrivati due svizzeri (marito e moglie) e il marito ha preso posto vicino a Federico.
"Che ne dici di un cioccolatino, te li ha comprati papà" e gli allunga due buonissimi cioccolatini (la mia salivazione accelera). "Ma la mamma ha detto che mi fanno male ai denti..." "Ma come? ma no dai, se te li lavi poi non succede niente" "Eh, ma la mamma ha detto che no..." "Ma te lo dico io... fidati di papà..." continua così il tira e molla tra padre e figlio, e il bimbo insiste indicando con l'indice i dentini davanti... così esplicito capiscono anche gli svizzeri... che sorridono. Avranno pensato "guarda te, è più sveglio il figlio del padre", a me questo pensiero fa male, non sanno quanti casini sta passando quest'uomo, quante battaglie ha fatto per vedere suo figlio due giorni al mese, quanti soldi prende e quanti ne spende per poterlo vedere, non sanno che ha praticamente rinunciato alla sua carriera per potergli stare vicino... e non sanno che lui è contento. È immensamente contento di fare questi sacrifici. Parla di suo figlio come la cosa migliore della sua vita, parla del suo lavoro con grande passione ma come se non ci fosse grande futuro... "Nessun lavoro mi garantisce questa flessibilità, posso lavorare ovunque, però lo stipendio è da terzo mondo", mi racconta le battaglie per ottenere i suoi diritti minimi di padre, "contro" una madre che prende uno stipendio che è molte volte il suo, che è avvocato e che è madre.

Lo trovo un uomo sincero, interessante, intelligente. Mi ha raccontato la sua storia con un certo pudore, e lo capisco. Capisco il pudore, intuisco il dolore. Ultimamente me ne intendo un po'... mi sento vicino a lui, un perfetto estraneo.

"Federico andiamo, siamo arrivati."
Ciao.

Fine prima parte. (1/3)

Nessun commento: